top of page

Maria Sybilla Merian, (1647-1717)

Properzia de Rossi nacque a Bologna nel 1490. Voleva diventare scultrice, un’arte all’epoca riservata agli uomini ai quali si riconosceva in esclusiva forza fisica e vigore intellettuale. Properzia, geniale, affrontò il limite. Vasari ci dice che “noccioli di pesche, i quali sì bene e con tanta pazienza lavorò, che fu cosa singolare e meravigliosa il vederli”. Sono gli 11 noccioli che intagliò per lo stemma della Famiglia Grassi, sono minuscole sculture sì, ma estremamente precise per forma e varietà di gesti, sono le effigi di Apostoli e Sante. Essendole proibito usare le pietre in quanto donna, lei sperimentò sui materiali che aveva sotto mano, quelli domestici di scarto, i noccioli appunto. La volontà la portò poi sino alla Basilica di San Petronio: fu la prima donna a entrare in un team di scultori. Aveva 34 anni quando scolpì Giuseppe e la moglie di Putifarre. Lo stesso Vasari ci racconta che “ella finì, con grandissima maraviglia di tutta Bologna, un leggiadrissimo quadro (bassorilievo marmoreo) dove (perciocché in quel tempo la misera donna era innamoratissima d’un bel giovane, il quale pareva che poco di lei si curasse) fece la moglie del maestro di casa del faraone, che innamoratasi di Josep, quasi disperata del tanto pregarlo, a l’ultimo gli toglie la veste d’attorno con una donnesca grazia e più che mirabile. Fu questa opera da tutti riputata bellissima et a lei di gran soddisfazione, parendole con questa figura del Vecchio Testamento avere isfogato in parte l’ardentissima sua passione”. Secondo altre fonti Properzia sarebbe stata l’amante di Antonio Galeazzo Malvasia e per questo suo amore persino denunciata. Quel che colpisce del bassorilievo è la moglie di Putifarre, assoluta protagonista, robusta, impetuosa e intraprendente le cui forme mostrano una grande conoscenza dell’anatomia.

Il talento e la costanza di Properzia non le portarono però i meritati riconoscimenti, scatenarono semmai l’invidia, quella dei suoi colleghi maschi. Molte furono le calunnie che scagliarono contro di lei, per sminuirla dissero persino che fosse una prostituta.

. la donna del Rinascimento .

 

È vero, la storia delle donne sembra dipanarsi nei secoli silenziosamente, fino almeno all’800 nel segno della sottomissione e delle occupazioni domestiche. Avendo quindi un carattere principalmente ‘privato’ poche sono le fonti che riescano a far breccia nel muro del silenzio che avvolge le loro vite. Per poter almeno immaginare le loro esistenze, dobbiamo allora riferirci a ciò che gli uomini hanno detto, definendo le qualità morali e le abilità pratiche che ciascuna doveva necessariamente possedere per potersi vedere riconosciuta. Non certo una dignità intrinseca quella legata all’identità femminile, ma una dignità derivante dalla capacità di dimostrarsi discreta, onesta, fedele al marito, devota a lui, accogliente verso gli ospiti e istruita quanto basta per saperli intrattenere, mansueta, non superba, semplice, modesta. Saper filare, cucire, governare la casa, procreare molti figli sono tutte competenze che sanciscono un essere, non certo ‘per sé’ quanto per l’altro, l’altro dal quale il corpo e la sessualità di lei sono gestite in via esclusiva. La donna deve essere sposa e perfetta madre di famiglia: la rigida regolamentazione di ogni aspetto della sua esistenza serve a domare una natura presunta ribelle, pericolosa, instabile. E infatti chi tra loro riusciva a distinguersi per intelligenza e istruzione veniva guardata con sospetto, temuta, criticata. Ma la voce delle donne è comunque riuscita, pur minoritaria, a farsi sentire anche attraverso questi secoli. E proprio sulla loro voce si posa il nostro interesse, sui fermenti, sulle sfumature, sulle irregolarità che rendono unica una melodia e che permettono alla complessità di colorare la realtà sfidando i discorsi dominanti dall’interno. Siamo interessate al coraggio e alla potenza straordinarie di Isabella d’Este, di Caterina Cornaro, di Cecilia Gallerani, donne che seppero portare avanti il proprio desiderio di diventare soggetti di scrittura, proponendo una visione autonoma del mondo, dell’amore, del matrimonio e del rapporto con l’altro sesso; siamo in ascolto di Alessandra Scala e di Cassandra Fedele, di Vittoria Colonna, di Gaspara Stampa, di Veronica Gambara, di Tullia d’Aragona, di Veronica Franco, di Isabella di Morra, di Laura Bacio Terracina. E’ proprio nel Rinascimento infatti che alcune donne escono dallo steccato dei generi letterari cui erano state relegate e si spingono verso ambiti tradizionalmente appannaggio degli uomini, come ad esempio la trattatistica. Qualche temeraria, come Lucrezia Borgia e Moderata Fonte, ingaggia battaglia contro i detrattori del sesso femminile, smascherando l’idealizzazione dei comportamenti fattane dagli uomini e l’artificiosità dei rapporti tra i sessi. Il contributo che queste figure hanno apportato alla società è stato cruciale sia perché ha permesso di prendere coscienza delle asimmetrie di potere entro le relazioni tra uomo e donna  sia di legittimare il punto di vista femminile prima di tutto in termini di auto-percezione e auto-definizione.

. Vado in Suriname .

 

Stupisce il Corridoio Vasariano con i suoi 1700 ritratti e stupisce ancor di più per il fatto che solamente il 7% di essi siano stati realizzati da artiste donne. La medesima situazione si ripresenta poi nei più importanti musei del mondo. Che le donne siano state prive di talento? Le donne furono modelle, muse ma raramente artiste, già incontrarle per strada era raro, e succedeva solo quando andavano a messa. Modeste, oneste e remissive, così le volevano, perciò confinavano in casa la propria individualità e creatività.

A noi incuriosiscono e commuovono quelle che crearono varchi per far uscire la propria indole.

 

 

 

Suor Plautilla Nelli nacque a Firenze nel 1524 e con vocazione probabilmente non spontanea si fece suora domenicana a soli 14 anni. Lo spazio del convento offrì a molte donne la possibilità di liberarsi da modelli, aspettative familiari e sociali, e di accedere allo studio della letteratura, della musica, della tessitura e dell’arte. Per questo, quei luoghi, sono pieni di opere d’arte di donne. Plautilla ve ne lasciò molte anche se la sua opera è rimasta sconosciuta per oltre 500 anni. Nel refettorio del Monastero di Santa Maria Novellal si trova il suo più grande dipinto, e forse il più grande che un’artista donna abbia mai realizzato, la sua Ultima cena del 1550. Nei suoi 7 metri di larghezza il quadro racchiude tutto il coraggio di Plautilla: affrontare il tema più alto all’epoca, riservato per questo unicamente agli uomini. A colpire, quasi intenerire, sono le sue figure maschili, che di maschile hanno ben poco. Il convento infatti, precludeva i rapporti con l’esterno così, le modelle a cui rifarsi erano tutte donne. Sappiamo che dipinse molto e per numerose famiglie nobili fiorentine, di lei ci restano però solamente 7 tavole e una tela e una domanda: se non avesse avuto limitazioni di clausura, limitazioni che influirono sulla quantità e qualità delle sue opere, come avrebbe dipinto?

Sofonisba Anguissola nacque a Cremona intorno al 1530, fu la più grande di sei sorelle, tutte pittrici. Incredibilmente dotata nel cogliere le espressioni, i sentimenti dei soggetti ritratti, fu la pioniera di un nuovo modo di dipingere che metteva al centro della ricerca l’intimità della vita quotidiana.  Ne sono un esempio i suoi disegni giovanili, in particolare il Ragazzo morso da un granchio in cui è evidente una profonda indagine sulle espressioni. Si dice che il padre avesse inviato questi disegni a Michelangelo Buonarroti il quale rimase profondamente colpito dalle capacità della ragazza allora solamente ventenne. Si dice inoltre che proprio il Ragazzo morso da un granchio fu di ispirazione a Caravaggio per elaborare il suo famoso Ragazzo morso da un ramarro (1594 circa). Guardandoli possiamo crederci.

Un ulteriore esempio della sua grande sensibilità è il dipinto la Partita a scacchi del 1555, in cui prese a modelle proprio tre delle sue sorelle. Qui, le loro personalità “brillano”, concentrate nel grande gioco di strategia e tattica. Una di loro, a guardar bene, tiene in mano la regina, pezzo che proprio nel Rinascimento diverrà il più mobile e per questo il più potente della scacchiera.

Nel 1559 le fu offerta un’incredibile occasione: entrare a corte come pittrice. A soli 27 anni lasciò tutto e andò in Spagna, dove divenne pittrice al servizio di Filippo II e Isabella di Valois. Fu una delle prime donne a essere riconosciuta per il proprio talento, a rendersi indipendente grazie a esso. Nei ritratti di corte mise in evidenza un’altra sua qualità, la capacità di modellarsi sulla richiesta del committente che in questo caso, attraverso la pittura, voleva vedersi esaltato e glorificato.

Gli ultimi anni della sua vita li trascorse in Sicilia. Nella biblioteca del Britsh Museum di Londra, si trova un ritratto di lei risalente a questo periodo. Fu fatto da Van Dyck, uno dei pittori più stimati all’epoca, che dall’Olanda partì espressamente per farle visita, per conoscere una grande artista. Di lei, ci dice: “Donna di 96 anni, a Palermo conserva ancora la sua memoria ed è veloce.

Il talento di Sofonisba perciò, era riconosciuto al suo tempo, quello che ci sorprende è che fatichi ad esserlo oggi.

Maria Sybilla Merian nacque a Francoforte nel 1647. Giovanissima, si sposò e si stabilì a Norimberga dove divenne madre.  Fu proprio qui che iniziò il suo studio degli insetti, studio che la accompagnò per tutta la vita. La sua ricerca fu abbastanza inusuale per l’epoca, tali animali infatti erano ritenuti di scarsa importanza per la ricerca scientifica e ancor di più, mal visti dalla religione che vi riversava molti dei suoi pregiudizi, sentenziando che fossero “diabolici”. Lei, se ne infischiò e si concentrò sui bruchi e sulle loro metamorfosi, realizzando su di essi moltissime tavole che raccolse in ben due libri La maravigliosa metamorfosi dei bruchi e il loro singolare nutrirsi di fiori. Qui, descrisse e illustrò lo sviluppo di quasi 200 farfalle e fu la prima a combinarne in un’unica immagine l’intero ciclo della vita.

I suoi primi 40 anni furono piuttosto convenzionali, col tempo però si rese conto che la famiglia tradizionale e la dedizione al marito frenavano la sua passione, la sua natura d’artista e ricercatrice scientifica. Iniziò così a prendere le distanze dal modello indicato dalla società in cui viveva, decisamente ostile al lavoro intellettuale femminile. Così, ebbe inizio la sua rivoluzione. Nel 1692 chiese e ottenne il divorzio e si trasferì ad Amsterdam, dove, con sua grande gioia, ebbe accesso a molte collezioni di farfalle e insetti, a serre e a novità esotiche che arrivavano quotidianamente trasportate dalle navi delle Compagnie delle Indie Orientali e Occidentali.

Nel 1699 si spinse molto oltre, nientemeno che in Suriname, distinguendosi così come una delle prime donne esploratrici della storia. Aveva 52 anni quando si mise in mare e lo navigò per ben tre mesi. Insieme a lei la figlia Dorothea, allora ventunenne. Restarono nell’ex colonia dei Paesi Bassi due anni, non sempre semplici per clima e malattie, due anni però estremamente fruttuosi per le loro ricerche e che le videro tornare con un carico di barattoli contenenti bruchi vivi, uova e serpenti e una grande quantità di bulbi di fiori, disegni e diari. Di quest’esperienza ne fece un libro le Metamorfosi insectorum Surinamensium e le 60 tavole che lo illustrano non hanno molto di “domestico”, semmai di reale e spaventoso.

bottom of page