top of page

. una definizione . 

"Un movimento che a partire da un coraggioso percorso di auto-consapevolezza femminile e delle condizionistorico-culturali in cui le donne hanno vissuto, ne vuole promuovere l’emancipazione e i diritti. Il femminismo è quindi una lotta di lunga data a partire dall’idea condivisa che l’eguaglianza tra uomini e donne (il suffragio universale è una fondamentale conquista in questo senso) debba essere raggiunta attraverso il radicamento di una cultura delle pari opportunità."

Abdullaeva Yulduz, Ali Addo Yasmin, Cavero Gloria, Demarchi Denise, Di Somma Valentina, Ezouatni Khadija, Fichiosi Lidia, Gnaldi Elena, Maccherini Vanessa, Majid Dounia, Mohamed Ali Shukri, Paz Ponce Adriana, Stancu Roberta, Testi Arianna

. Donne .

L'agire politico delle donne ha radici lontane che affondano nel femminismo del primo novecento, ma che si allungano poi alla Resistenza quando le donne erano partigiane e staffette e raggiungono anche il movimento femminista, che dagli anni ‘60 a oggi di strada ne ha fatta davvero moltissima. In ogni caso le donne si sono organizzate e confrontate, hanno manifestato e formulato proposte, hanno ottenuto leggi e nuovi diritti, hanno scritto e alzato la voce. Insomma, il femminismo ha conquistato molti importantissimi traguardi. Ma il femminismo non può essere considerato un cimelio da ammirare in una teca perché in realtà esso continua a evolversi, con rivendicazioni di diritti e di spazi, di opportunità e di mezzi, ancora oggi.

Cercando di meglio comprendere la specificità di ciascuna stagione del femminismo, se nel dopoguerra le donne parlavano di emancipazione ed eguaglianza, esse hanno poi puntato a concetti e pratiche di liberalizzazione e indipendenza. Allora dal secondo dopoguerra in poi le Associazioni femminili come l’UDI (Unione Donne Italiane, legata in origine al Partito comunista) e il CIF (Centro Italiano Femminile, vicino alla Democrazia Cristiana), che nascono nel '45, iniziano a promuovere un'instancabile azione politica sui temi dell'emancipazione, verso l'acquisizione di leggi a difesa della parità in famiglia e sul lavoro.

Tra gli anni ‘50 e gli anni ’60, in altre parole, il desiderio di emancipazione e di eguaglianza e la volontà di conquistarsi spazi nella vita nazionale, economica, personale e sociale, uguali ai “colleghi” dell’altro sesso conquista importanti traguardi, primo tra tutti il diritto al voto per le donne che è arrivato nel 1946 e la parità salariale nel 1957.

E’ però tra gli anni ’60 e i gli anni ’70 che il femminismo in Italia si fa portatore di esigenze nuove. Un fondamentale cavallo di battaglia del femminismo degli anni ’70 è infatti la liberalizzazione sessuale attraverso la liberalizzazione della contraccezione e dell’aborto.

E’ questo un periodo di grandi vittorie dal punto di vista legislativo con l’abolizione da parte della Corte Costituzionale della distinzione tra i sessi che fa cadere il reato di adulterio per le donne e di concubinaggio per gli uomini (’68-’69), con l’approvazione della legge sul divorzio (1970) confermata dall'esito del referendum abrogativo (1974), con l’introduzione degli asili nido statali (’71), dei consultori (’75), con la riforma del diritto di famiglia (1975) che segna il passaggio a una famiglia basata sul consenso reciproco e la collaborazione, con la  normativa sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro che riconosce alla donna la possibilità di svolgere, a parità di salario, qualsiasi lavoro (’77) e con la legge sull’aborto (1979). Ma il quadro legislativo, sebbene ricchissimo, restituisce solo in parte le profonde trasformazioni che hanno investito in quegli anni la società civile e che hanno modificato il ruolo delle donne e i rapporti tra i sessi. Dagli anni '60 si era assistito a un boom economico che aveva portato benessere e nuovi stili di consumo; ma anche l'accesso all'istruzione con la scuola di base obbligatoria aveva necessariamente innalzato il livello culturale della popolazione.

I mass media, la televisione e i nuovi modelli di donna emancipata che provenivano soprattutto dagli Stati Uniti confluiscono nella tappa fondamentale del '68, che investe le università, le fabbriche e il paese con una ventata di profondo cambiamento nei ruoli familiari e sociali.

Le riflessioni e le istanze che provenivano dalle donne diedero origine a nuove parole: liberazione, autodeterminazione, soggettività; sorsero nuovi luoghi di aggregazione: collettivi, librerie, centri di documentazione, cooperative di donne. Si parlava di liberalizzazione del ruolo della donna, della sua indipendenza e autodeterminazione, della possibilità di vedersi con o senza un uomo, alle spalle o al proprio fianco.

Parole che si coagulano nell’attività instancabile di alcune importanti realtà italiane come il Fronte Italiano di Liberazione Femminile (FILF) e il Movimento per la Liberazione della Donna (MLD) legato al Partito radicale, o il milanese Rivolta Femminile, un gruppo dove figuravano Elvira Banotti, Carla Accardi e Carla Lonzi.

Ma è soprattutto la creazione di collettivi (universitari e extraparlamentari), che permette alle donne di trovare un preziosissimo spazio di dialogo, di riflessione, di confronto e di organizzazione: insieme si criticano i modelli patriarcali legati al maschilismo. Si mettono in discussione gli ordini precostituiti, imperniati sulle figure maschili di riferimento. Si pongono al centro del dialogo e del dibattito le istituzioni e i valori imperanti nella società di tipo patriarcale. Si legge infatti nel “Manifesto di rivolta femminile” del 1970: “Il femminismo è stato il primo movimento politico di critica storica alla famiglia e alla società”.

Al centro di queste esperienze, la pratica dell'autocoscienza, lo sviscerare cioè, in piccoli gruppi, l'identità, la sessualità, la relazione con l'altro. L'esponente forse più famosa è Luisa Muraro che ha pubblicato, tra gli altri, L'ordine simbolico della madre, testo fondamentale sulle genealogie femminili.

Il panorama italiano è dunque costellato da iniziative altamente innovative che spaziano anche nell’ambito dell’editoria come L'Edizione delle donne e La Tartaruga di Laura Lepetit a Milano. Riviste come DWF, Memoria. Centri e Università delle donne come quello di La Maddalena a Roma.

Il femminismo rappresenta dunque una vera e propria fioritura, un’esplosione di creatività, di desideri e risoluzione ad agire che ci lascia una eredità così preziosa. Un’eredità che ci chiede di interrogarci di nuovo, in base alle esigenze ma anche alle aspirazioni delle donne, a partire da noi stesse qui e ora. Rinnovare i saperi che il femminismo ha maturato è perciò una sfida importante e aperta per trovare anche oggi la nostra specialissima strada in questo mondo e il coraggio e la forza di poterla perseguire, singolarmente e insieme. Donne.

. tap and touch .

A partire dalla fine degli anni ‘60 si ebbe una sostanziale svolta nella storia dell’arte: le donne da oggetto di rappresentazione e muse si fecero protagoniste. Seguendo percorsi di professionalizzazione, guadagnando visibilità e perciò peso, divennero le narratrici della propria radicale trasformazione. Si riunirono in comunità d’azione, tennero manifestazioni, organizzarono festival, esposizioni, scrissero manifesti, libri, fondarono edizioni e giornali… Unite dal desiderio di cambiare le forme sociali esistenti nel mondo dell’arte, misero in atto una radicale rivolta contro un’intera epoca, quella che poggiava sul culto del genio maschile. Scalzata la supremazia della pittura, arte sulla quale gravava una lunghissima egemonia (di nuovo) maschile, le donne si rivolsero a linguaggi ancora poco sondati come la performance, la fotografia e la video-arte, linguaggi che gli permisero di liberarsi finalmente dalla zavorra della tradizione. L’immagine della donna fu perciò ripensata a partire da un punto di vista tutto femminile, punto di vista che portò a trattare temi fino ad allora considerati tabù, temi che le interessavano intimamente, come la gravidanza, il parto, la maternità, la sessualità, la relazione di coppia, l’obbligo ad essere belle, lo stupro…

Iniziarono a decostruire un’immagine ormai sentita come lisa e “si misero in cammino invece di farsi belle”.

. Ketty La Rocca .

Ketty La Rocca nacque a La Spezia nel 1938 e fu una delle voci più significative dell’arte italiana tra gli anni ‘60 e ’70. Erano gli stessi anni in cui Carla Lonzi, Carla Accardi e Elvira Benotti diffondevano il Manifesto di rivolta femminile, gli anni in cui Elena Gianini Belotti pubblicava Dalla parte delle bambine.

Nel 1964, a Firenze, ebbe inizio la sua frequentazione del Gruppo ’70, e con essa la sperimentazione attraverso la poesia visiva. In quest’ambito si situano i suoi collage, opere cariche di una forte riflessione femminista, ritagli di immagini e parole, che si compongono infatti in un’aspra critica nei confronti degli stereotipi sull’identità femminile creati, abusati e diffusi dai media.

. Birgit Jürgenssen. 

Birgit Jürgenssen nacque a Vienna nel 1949. “Volevo mostrare i pregiudizi contro le donne e gli stereotipi sessuali con i quali mi sono sempre confrontata e così rendere visibili i malintesi della vita quotidiana” disse e così, fece. In Hausfrauen (casalinghe), una serie di disegni dal contenuto provocatorio che realizzò a partire dalla metà degli anni ’70 e considerati oggi tra i capolavori dell’avanguardia femminista, mise al centro della sua feroce critica uno tra i più ancorati stereotipi, quello della donna come casalinga. Ella, che contrariamente ad ogni altro lavoratore non è nemmeno remunerata, trovò in queste opere la sua rivalsa, si fece tigre feroce alle sbarre, e si vendicò sugli uomini usandoli come stracci da pavimento.

In Hausfrauen-Küchenschürze (casalinga-grembiule) del 1975, andò oltre, indossando lei stessa le vesti di una casalinga: appesa al collo una cucina, il cui peso rimanda a quello del ruolo univoco e riduttivo con cui la società patriarcale, per secoli, ha investito le donne.

L’urgenza esistenziale di uscire dai confini si manifestò nuovamente in Ich möchte hier haus! (Vorrei uscire da qui!) in cui l’artista, che ha un aspetto estremamente lindo e ordinato, preme contro un vetro con tale forza da lasciarvi l’impronta e persino il vapore prodotto dal proprio respiro. Per la Jürgenssen: “Uscire dai confini significa tentare di liberarsi da identità ascritte e sgradite (casalinga, moglie, donna delle pulizie), di affermare la negazione di false identità, conquistando così uno spazio per la libera scelta”.

. Womanhouse .

Womanhose nacque nel 1972. Judy Chicago fu una delle sue ideatrici, lei che nel 1968, in risposta all’esclusione delle donne dal mondo accademico e dai circuiti artistici, fondò la Fresno State College presso cui tenne il suo primo corso di arte e femminismo. Insieme a lei, Miriam Shapiro e Faith Wilding. Era il 1972 appunto, quando con 21 studentesse del corso dettero vita a Los Angeles al progetto Womanhouse. Una casa abbandonata messa a loro disposizione fino al giorno del suo abbattimento, divenne il luogo per esplorare la storia delle differenze di genere e i ruoli tradizionali della donna. Le stanze furono sede di installazioni attraverso cui approfondire temi legati all’identità femminile, spesso ritenuti “scomodi” dall’opinione comune.  Sandy Orgel, nel suo Linen Closet, ad esempio, mise in scena una donna confinata nei doveri quotidiani, forzata dentro un ruolo precostituito e resa bene dai commenti di una visitatrice: “Qui è esattamente dove le donne sono sempre state, tra le lenzuola e le mensole. E’ momento adesso di uscire dall’armadio”. Lea’s room, fu la stanza che Karen LeCocq e Nancy Youdelman dedicarono alla bellezza femminile. Una stanza opprimente, riempita dal pungente odore di magnolia, dalla carta da parati rosa e dalle molte trine. In tale soffocante atmosfera ebbe luogo la performance di Lea la cortigiana, disperatamente intenta a salvare la propria bellezza con starti e strati di trucco, una bellezza su cui aveva fondato un’intera vita e che le aveva fatto ottenere favori, soprattutto maschili.

Un altro dei temi “scomodi” fu affrontato da Judy Chicago nella sua Menstruation bathroom. Le mestruazioni erano spesso tenute nascoste dalle donne, tabù, al punto che la stessa Chicago racconta: “fino ai 32 anni non ebbi mai una discussione a riguardo con le mie amiche”. La stanza era pulita, bianca e profumata, a dire che “le donne devono essere pulite”. Il sangue mestruale però non fu nascosto, rinnegato, piuttosto “esibito”, seppur in un secchio della spazzatura.

 

. Valie Export .

Valie Export, l’”esportatrice di valori”, nacque a Linz nel 1940.  Portò all’estremo l’idea di un corpo femminile ridotto a oggetto da guardare e toccare e sperimentò sul proprio. Nella performance del 1968 Tap und tastkino, una scatola copriva la parte superiore del suo corpo, nudo. Una sorta di cinema in miniatura in cui il seno non poteva essere visto ma toccato da chiunque avesse osato introdurre le mani. Queste le indicazioni: “Solo per 13 secondi, e quando lo farete sarete visti da tutti”.  Provocatoria la Export, suscitò sempre molto scandalo, e l’apice lo raggiunse con la performance, sempre del ’68, Genitalpanik che la vide entrare in un cinema a luci rosse di Monaco di Baviera con i pantaloni aperti sul davanti a esibirne i genitali. L’oggetto del desiderio si fece reale, presente, non mediato dallo schermo cinematografico e dal voyerismo che ne consegue. Ribaltò così il ruolo passivo attribuito alla donna nella cultura patriarcale e si fece tanto attiva quanto aggressiva.

 

. Vagina .

Intenzionate a rivendicare la propria differenza sessuale, molte artiste misero al centro delle proprie ricerche i genitali femminili. Ne è un esempio Tee Corinne, artista e attivista politica americana che, nel 1975, con il suo Cunt Coloring book, prese a modello i libri per l’infanzia, per realizzarne però uno che prevedesse l’intervento diretto dello spettatore, chiamato a colorare diverse immagini di vagine che l’artista stessa aveva disegnato dal vero.  

Sulla stessa scia si colloca la giapponese Shigeko Kubota, che, in occasione del Festival Perpetual Fuxus di New York nel ’65, accovacciata su di un foglio di carta, con un pennello attaccato agli slip, dipinse la superficie a terra con macchie di vernice rossa. Una sorta di pittura mestruale in cui la vagina era il centro propulsivo dell’azione.

E ancora, Carolee Schnemann, che nel 1975, durante la performance Interior scroll, lasciò dapprima cadere il lenzuolo indossato e salì nuda su di un tavolo da dove lesse stralci dal suo libro Cézanne. She was a great painter assumendo provocatoriamente movenze da modella. Dalla stessa posizione estrasse poi un rotolo di stoffa dalla vagina, sul quale erano elencate le discriminazioni subite dalle artiste nella storia.

Quelle citate sono solo alcune tra le tante che posero nel sesso femminile il fulcro delle proprie ricerche.

. Guerrilla girls .

A conclusione di questa affatto esaustiva presentazione, le Guerrilla Girls. Attive dal 1984, furono e sono tutt’oggi un gruppo di circa 60 artiste che, indossando maschere da gorilla e prendendo in prestito nomi di grandi donne del passato (Frida Kahlo, Kate Kollowitz, Gertrude Stein…), riconosce nell’anonimato sia la possibilità di proteggere la propria identità da spiacevoli rivalse, sia quella di sostenere la tesi per la quale sono i contenuti ad essere importanti e non le singole identità.

Era appunto il 1984 quando il Moma di NYC inaugurò una grande mostra in cui erano presenti opere di arte contemporanea tra le più importanti al Mondo. Dei 169 artisti esposti solamente 13 erano donne. Da tale disfatta e dalla rabbia che ne scaturì nacque il gruppo delle Guerrilla Girls. E’ del 1989 la prima provocazione di successo: “Per entrare al Metropolitan Museum le donne devono essere nude?” e ancora “Meno del 5% degli artisti che espongono nella sezione arte moderna sono donne, ma l’85% dei nudi in esposizione sono femminili”. Di queste affermazioni ne fecero un poster e lo affissero abusivamente per le strade di Soho. L’Odalisca nuda di Ingres, mascherata da Gorilla, divenne loro icona e lo è tutt’ora.

Le loro ricerche sono arrivate fino a oggi, passando per una verifica del 2011 che mostrò come ancora la situazione di parità tra generi nel campo dell’arte all’interno di musei quali il Moma non sia di molto migliorata, fino ad arrivare al 2014 quando, spostate le loro indagini al campo dei video musicali, constatarono che nel 99% dei casi, i nudi presenti sono femminili.

 

il gesto femminista

‘Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell’esistenza’ (Manifesto di rivolta femminile, Carla Lonzi, 1970)

bottom of page